Editoriali

EDITORIALE

Il bene del Kenya quando le cose vanno male

Il nostro presente al tempo della paura del futuro

16-08-2020 di Freddie del Curatolo

La pandemia in Kenya sembra raccogliere in sé tante delle contraddizioni di questo Paese dove il tao del bene e male non è bianco e nero ma pieno di colori e di sfumature.
Non c’è turismo: aumentano gli animali e ricresce la vegetazione.
Non c’è turismo: aumenta il bracconaggio e la gente povera torna a cacciare gazzelle e zebre per nutrirsi e se proprio deve si mangia pure le scimmie.
Non c’è lavoro: intere famiglie lasciano le periferie e gli slum delle città e tornano alla dimensione rurale, mettendo le mani nella fertile terra e trovando almeno di che campare.
Non c’è lavoro: i giovani che restano in città, pur di non rinunciare al telefonino e alla motocicletta, si comprano un’arma da fuoco e si danno alle rapine.
Sulla costa, nei mercati, è ben visibile l’abbondanza di frutta e verdura, così come il pesce torna ai prezzi di vent'anni fa e tanti keniani si rimettono a mangiarlo dopo averlo ripudiato in favore di pollo e patatine, o riso e fagioli.  
A fine giornata si possono acquistare quintali di ananas, angurie, spinaci e simili, avocado, cipolle ed ortaggi a prezzi irrisori.
A volersi organizzare per conserve, salse, marmellate e minestroni, acquistando un buon freezer ci si può preparare all’inverno più triste degli ultimi trent’anni (già, perché quello delle elezioni di fine 2007 almeno fino ai primi di gennaio fu ottimo...). Sempre che poi si abbiano i soldi per pagare la bolletta dell’elettricità che è aumentata come del resto un po’ tutto, a partire dalla benzina.
Eppure, ed ecco un’altra grande contraddizione, in Kenya si sta d’incanto.
Non ci fosse di mezzo il futuro, ovvero il fantasma che sta diventando per tutti la vera spada di Damocle e fa dimenticare che la vita invece è la somma di un passato pieno di felici ricordi e di un presente vivo e scalciante, si direbbe che è tutto una meraviglia: la Natura che rifiorisce, il poco traffico per le strade di Nairobi e Mombasa, le spiagge vuote (e ora che ci sono i giusti escamotage per passeggiare, è proprio una meraviglia), la Savana per pochi intimi e appassionati, altro che matatu...
Non ci fosse di mezzo l'eterno presente delle malattie dell'infanzia, causate più dai batteri nell'acqua che dai virus per aria, dell'indifferenza della classe politica, della corruzione all'inverosimile. Ma questo cancro in Africa c'è da sempre, anzi per certi aspetti l'emergenza Covid-19 gli ha fornito pure l'alibi.
Piangersi addosso non è mai servito a niente, figuriamoci adesso che pare più una moda che un dolore, più una frustrazione che uno sfogo.
Perché in Kenya c'è così tanto da fare per dare e ridarsi speranza!
Ci sono iniziative, c'è la possibilità di partire da zero per organizzare uno sviluppo sostenibile, una vera solidarietà intelligente, il riciclo, la creatività e l'arte di cui questo Paese potrebbe essere un nuovo epicentro.
E poi ci sono gli incontri tra i pochi che si trovano ancora in giro, le amicizie ritrovate, la solidarietà di aiutarsi a vicenda.
Altro che pazzi scatenati dei social e l'imbrutimento di tanti connazionali in Patria.
Se solo ci ridessero al più presto un bicchiere di vino al ristorante, un ballo e una chiacchiera in più in un bar notturno e un aiuto concreto a chi è più in difficoltà, si potrebbe tornare a pensare che il Kenya è il posto più bello del mondo dove vivere il presente e varrebbe la pena preservarne le cose positive e segnalare, combattere, isolare quelle negative.
Perché lo è veramente, ma oggi sono tutti impegnati a pensare a troppe altre cose, spesso inutili.

TAGS: kenya benekenya malekenya pandemiakenya presentekenya futuro

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