Il tema della settimana di Malindikenya.net, annunciato dalla quarta parodia di Freddie e Sbringo che fa parte del concorso a premi “Festival di Sardegna 2” riguarda l’acquisto in Kenya di proprietà.
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La canzone “Il residence che non c’è”, oltre a raccontare ovviamente in maniera satirica una situazione estrema, si riferisce in particolare alla Malindi degli anni Ottanta e Novanta, quando all’esplosione della costa keniana come meta di vacanze e villeggiature invernali, faceva eco e spinta il boom economico in Italia, con la gente che era portata a fare investimenti e a sognare nel contempo la “bella vita” ai tropici.
Così, accanto alle tante occasioni che la Malindi italiana proponeva, si aggiravano anche individui poco raccomandabili ma dall’aria di imprenditori e immobiliaristi di grido (lo stesso grido che poi diventava un urlo d’allarme o una maledizione, del genere “aaal ladroooo”).
Costoro erano in grado di promettere di tutto: dall’acquisto di terreni alle facilitazioni per progettare, costruire, predisporre l’abitazione dei sogni del malcapitato e magari moltiplicarla per altre, in modo da rientrare dell’investimento in poco tempo.
Poi, implacabilmente, sarebbe arrivata l’Africa, il capro (anzi, il bufalo) espiatorio, per il quale l’affare andava non proprio come immaginato.
Così sono sorte dispute, si sono susseguite cause in tribunale e gli italiani possono orgogliosamente affermare di aver creato una nuova classe di professionisti keniani: avvocati, notai e giudici.
Chiaramente in quegli anni il terreno (spesso senza titolo di proprietà) per questi faccendieri era fertile e molti si sono garantiti la pensione, dopo aver rischiato galera e linciaggio.
Oggi le cose sono ben diverse ma come recita il proverbio giriama (chi ha il pane, non ha i denti, chi ha l’ugali mangia anche senza denti), ora che non ci sono quasi più furfanti italiani in giro, sono finite le occasioni.
Quando con 20 milioni si acquistava un cottage in riva al mare, quando un acro misurava un acro e non la metà, quando un terreno costava un quarto di quel che valeva perché i proprietari (ad insaputa di ognuno degli acquirenti) erano quattro. Solitamente oltre all’arabo, al keniano, c’erano anche il tedesco e l’italiano delle barzellette.
A Malindi per anni è stata in voga la vendita dei terreni “alla Totò”; c’è chi ha iniziato a costruire la casa dei suoi sogni su un terreno non suo (e spesso i veri proprietari del terreno, in possesso del title deed lo hanno lasciato fare fino alla fine, ringraziando anche parecchio) o si è ritrovato a doverlo dividere con una famiglia indiana, un avvocato di Naivasha o un intero villaggio dell’entroterra.
Dalla vendita del colosseo a quella del residence a Casuarina, insomma, il passo è breve.
Come racconta la canzone della settimana...se non l’avete ancora ascoltata, eccola qui.
Un modo simpatico per rituffarci in tempi passati che speriamo non tornino più.
Aspettando la rinascita di Malindi sotto altre forme, con un turismo residenziale e alberghiero sempre più consapevole, rispettoso, onesto ed ecosostenibile.
Per poter dire un giorno, “sembrava tutto morto e invece...è resort!”