Editoriali

EDITORIALE

Malindi e i corvi, metafora della disunione

Perché non si segue l'esempio di Vipingo?

21-04-2023 di Freddie del Curatolo

Nel settore turistico costiero del Kenya, è risaputo, “l’unione fa la forza” è un proverbio che non ha mai funzionato.
C’è anzi chi lo considera una bestemmia. Difficoltà di parlare la stessa lingua, e non solo per una questione di nazionalità. Filosofie diverse, divisioni tra cittadini keniani, residenti e "mezzi e mezzi". Non c'è dubbio che gli italiani in questa autolesionistica tradizione abbiano la loro bella complicità.
Grazie a tanti “padri-padroncini”, ad autoproclamati ed autoimprovvisati manager che prima di sbarcare a Malindi e Watamu facevano tutt’altro mestiere, a nanetti dei propri giardini che si sentono giganti dell’ospitalità, ai molto volonterosi e molto ingenui ed ai soliti (sempre meno, almeno quello) poco volonterosi e poco onesti, negli anni non si è mai riusciti a portare avanti cause comuni che altrove, e dove prevalgono altre comunità di stranieri dalle medesime origini, hanno avuto successo.

E’ il caso di Malindi, dove la cittadina, che a fatica tiene a bada la sostenibilità della sua crescita, negli ultimi anni, in concomitanza con due legislature assolutamente deficitarie al governo della Contea, è riuscita ad ottenere qualche risultato solo grazie alle associazioni locali (vedi PWAM) e alla società civile. E’ il caso della discarica di Casuarina, ad esempio, che se verrà presto rilocata altrove, non sarà certo grazie all’intervento del Padreterno.
Dove sono gli imprenditori del turismo quando c’è da fare anche e soprattutto i loro interessi, che non possono non essere allo stesso tempo quelli della località in cui è ubicata la loro attività? Dal 1990, da quando seguo l'evoluzione della comunità italiana, sono stati ben 6 i tentativi abortiti di associazioni con intenti di promozione o collaborazione con enti locali. Alcune sponsorizzate da figure istituzionali, altre da investitori che hanno fatto la prima mossa, attendendo l'arrivo dei "colleghi" (per essere poi tacciati di averlo fatto unicamente per interessi personali) e altre ancora da connazionali dalla generosità e dalla passione direttamente proporzionale al loro tempo libero. A questi ultimi non si poteva certo dire niente di male, ma anche in questo caso i connazionali li hanno ignorati, affossando l'associazione e la loro disponibilità. 

L'excursus è per parlare del caso più recente ed eclatante per il quale il settore turistico di Malindi non sta facendo un bel niente e dove solo un'azione congiunta potrebbe risolvere un problema che sta diventando gravissimo: l’invasione esponenziale delle cornacchie, i cosiddetti “corvi delle case”.
Ormai ogni hotel ha il suo drappello di questi uccelli non autoctoni (arrivarono in Kenya nel secolo scorso sulle navi provenienti da oriente) che fanno danni all’ambiente, disturbano con il loro gracchiare i turisti e i residenti, mangiano le uova dei meravigliosi uccellini tropicali e portano malattie, cibandosi anche della spazzatura. Situazione che, a detta degli esperti (LEGGI QUI IL NOSTRO PRECEDENTE ARTICOLO) potrebbe presto diventare incontrollabile. 

L’esempio di come si potrebbe risolvere la questione, agendo tempestivamente, arriva da Vipingo, località che con la sola attrazione del golf club e di pochi chilometri di spiaggia nemmeno troppo pubblicizzata, sta crescendo grazie all’unità degli investitori che hanno ascoltato la voce di chi alla natura e alla sua conservazione ci tiene. Pagando 10 scellini keniani a uovo (8 centesimi di euro) hanno chiesto a disoccupati e lavoratori che vogliono “arrotondare” in questi momenti difficili, di recuperare le uova dei corvi e consegnarle, per essere distrutte. In pochi mesi dall’inizio di questa iniziativa, la popolazione dei fastidiosissimi uccelli si è ridotta di almeno la metà.
Ma a Vipingo c'è unità d'intenti, voglia di emergere che supera ogni divisione.

A Malindi invece certi facoltosi connazionali somigliano sempre più agli stessi corvi: brutti, sporchi e gracchianti. E gli stormi che ci volano addosso ed attentano ai pranzi dei turisti, sono sempre più metafora della loro disunione.
Cosa dobbiamo aspettare perché anche i nostri lamentosi soloni adottino un semplicissimo programma simile, autotassandosi? O continueremo a vedere una destinazione turistica affossarsi da sola aspettando l’iniziativa di chi non ne ha mai prese di simili? Come diceva quell’anziano signore che suonava il clarinetto, ma non per incantare serpenti, “meditate gente, meditate”.

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