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EDITORIALE

Kenya: poco Covid incide sulle vaccinazioni

Difficile far capire alla gente l'importanza dell'immunità

11-10-2021 di Freddie del Curatolo

Sarebbe difficile ovunque chiedere alla maggior parte della popolazione di vaccinarsi per un’influenza di cui nel proprio paese si muore pochissimo, molto meno di tante altre patologie, e può essere ricoverata in reparti speciali solo una ridottissima percentuale di cittadini, ovvero quelli abbienti.
Ed in ogni caso, le terapie intensive dello stesso paese sono praticamente vuote da un mese (sotto i cinquanta letti occupati su 700 complessivi).
Il paese in questione è ovviamente il Kenya e la fotografia della situazione attuale, riguardo al Covid-19 è questa: nelle ultime 24 ore nemmeno un decesso registrato ed anche nei giorni scorsi erano stati riportati pochissimi casi di morte collegata al virus, da segnalazioni del mese precedente.
Il Governo giustamente non vuole minimizzare e dare un’immagine troppo ottimistica della situazione perché dalle vaccinazioni di massa dipende la credibilità che il Kenya si deve guadagnare rispetto alle altre nazioni e alla sicurezza sanitaria della nazione nell’ottica della riapertura totale dei viaggi su Nairobi e Mombasa.
Ma è davvero difficile convincere “l’uomo della strada” o, meglio, intere comunità di zone rurali e remote keniane di prendere sul serio la vaccinazione per il Coronavirus, quando si muore di fame e tra poco probabilmente, a causa dei cambiamenti climatici, anche di sete.
Nel libro scritto da me con il collega dell’agenzia stampa AGI Angelo Ferrari, “La pandemia in Africa, l’ecatombe che non c’è stata” nell’esaminare la realtà di un virus che non è stato devastante come tutti, in primis l’OMS, vaticinavano, il quesito finale riguardava proprio la difficoltà di immunizzare un intero continente con problematiche ben distanti dall’utilizzo di un Green Pass per muoversi.
Ve lo immaginate un “matatu”, ovvero un bus dell’equatore, quasi sempre stipato e sgangherato, che accoglie tutti i tipi di viaggiatore, spesso senza telefonini e con a malapena gli spiccioli per la corsa, che deve chiedere a chi sale a bordo il certificato vaccinale?
E quanti keniani in prospettiva ne avranno bisogno per viaggiare all’estero? Sicuramente poco più del 3% di cittadini che sono stati già vaccinati.
Non è un caso che anche negli Stati europei, oltre ad aver vissuto il dramma di una malattia che ha mietuto vittime e riempito gli ospedali per almeno un anno ed ancora non ha terminato la sua azione malefica, molti cittadini si sono vaccinati solamente per poter tornare a lavorare, a viaggiare, a scuola, a frequentare ristoranti, concerti, stadi ed altri luoghi pubblici ed eventi.
In Africa possiamo immaginare, ad esempio, che quando verrà distribuito il vaccino per la malaria, ci sarà la corsa ad immunizzare i propri figli e se in questo momento un keniano fosse costretto a scegliere tra i due vaccini non ci sarebbe storia: Malaria batte Covid-19 con il massimo risultato.
Solo l’obbligatorietà potrebbe far vaccinare tutti i keniani, ma un Governo africano saggio dovrebbe fare (e trasmettere all’OMS così come alle Nazioni Unite) il messaggio che il paese può riaprire se si vaccinano le categorie fondamentali ed alcune città o regioni. Il settore turistico, ad esempio, tutti gli enti e gli uffici aperti al pubblico, gli aeroporti. Perché nel frattempo continuano ad arrivare dosi su dosi, da nazioni di tutto il mondo (le ultime, 820 mila di AstraZeneca dalla Slovacchia).
Una sorta di “vaccinazione intelligente”, pensando soprattutto all’economia, perché alla fine il Covid-19 in Kenya ha fatto paura soprattutto a quello, creando voragini che come sempre hanno inghiottito chi già faceva fatica a stare a galla.
Oppure potendo creare quei “corridoi” tanto cari all’Italia per far ripartire almeno il turismo che, specialmente in certe aree come i parchi nazionali e la costa, è la risorsa fondamentale per dare da mangiare e da vivere a migliaia di persone.
E chissà che quando finalmente in tanti potranno riprendere la vita di sempre, avere quei due soldi in tasca per saziarsi e nutrire i propri figli e mandarli a scuola, non inizino a poter guardare alla loro condizione come qualcosa da preservare. Magari con un vaccino in più e un pizzico di fatalismo in meno.

TAGS: vaccini kenyacasi kenyacrisi kenya

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