EDITORIALE
18-01-2021 di Freddie del Curatolo
Durante l’anno di pandemia, i due grandi “vicini di casa” del Kenya, che di fatto costituiscono il 90% dell East African Community, hanno affrontato le elezioni politiche.
Tanzania ed Uganda non solo hanno chiamato i loro cittadini alle urne, ma hanno dato un indirizzo ben preciso al futuro prossimo di entrambi i Paesi, scegliendo la continuità e rafforzando il potere dei loro leader, a svantaggio della democrazia e della libertà di espressione.
Dall’altra parte, alle immancabili accuse di brogli, hanno fatto riscontro percentuali talmente alte di preferenza per i due Presidenti rieletti e vittorie per distacco netto che non hanno potuto instillare dubbi né nella popolazione, né negli osservatori internazionali.
Se qualcosa è accaduto, insomma, è accaduto prima del voto.
Della conferma in Tanzania del presidentissimo John Magufuli, l’uomo che ha dichiarato la sua Nazione “Covid Free”, abbiamo già parlato.
Magufuli non ha mai costretto il suo popolo ad usare la mascherina o tenere le distanze sociali in un Paese dove i decessi del 2020 non superano quelli dell’anno precedente e gli ospedali non si sono riempiti, ed il fatto di non aver chiuso il Paese né bloccato l’economia è uno dei motivi della sua rielezione. L’altro motivo sa un po’ di dittatura: limitazione dei social network, intimidazioni alla stampa, metodi “polizieschi” e ostacoli alla campagna elettorale dell’opposizione.
Questo modus operandi ha contraddistinto anche l’ultimo anno di Governo del leader incontrastato della politica ugandese, il Presidente Yoweri Museveni, che a 76 anni ed in barba alla costituzione dal lui già cambiata ventiquattro fa, è stato rieletto per la quinta volta consecutiva da quando istituì libere elezioni nel 1996, dopo già dieci anni di governo più o meno militare.
L’Uganda dal 1986 ha un padre padrone che ogni volta si vede “costretto” a sbattere in galera a ripetizione gli emergenti oppositori e demotivare tutti gli altri.
Tanto è vero che se non fosse stato per un giovane e coraggioso rapper e attivista dei diritti civili, Robert Kyagulanyi meglio conosciuto con il nome d’arte di Bobi Wine, non ci sarebbe stata affatto opposizione. Il cantante, arrestato quattro volte negli ultimi due anni e costretto a mesi di esilio, ha ottenuto solo il 13 per cento dei voti, specialmente da giovani e giovanissimi e i problemi dell’Uganda rimangono quelli delle guerre tribali nelle regioni del Nord e della grande povertà e arretratezza nelle aree rurali.
Cosa cambia per il Kenya e per il suo approccio alle elezioni del 2022, con il rafforzamento delle leadership nei due Paesi confinanti e principali partner africani nel commercio e nei rapporti transfrontalieri quotidiani?
Indubbiamente per il Kenya la rielezione di Museveni rappresenta continuità, specialmente nel settore del commercio. L’Uganda non solo è il più importante alleato economico del Kenya, ma è il più grande acquirente di beni kenioti.
Un rapporto economico che si riferisce al 2019, mostra che l’anno precedente il Kenya ha esportato in Uganda beni per un valore di Kes. 64,1 miliardi, pari a quasi la metà del valore delle esportazioni del Kenya verso gli altri Stati dell’Africa Orientale.
Per il Kenya, secondo gli editorialisti politici del quotidiano nazionale Daily Nation, non si tratta solo di commercio, poiché Museveni potrebbe essere un importante attore dietro le quinte nella campagna di successione del presidente Uhuru Kenyatta.
Infatti è cosa nota che il Vice Presidente del Kenya William Ruto ha buonissimi rapporti con Museveni e lo ha aiutato in passato nelle campagne elettorali e “ammorbidendo” situazioni delicate nelle zone di confine.
Dall’altra parte i rapporti tra il leader ugandese ed il quasi coetaneo Raila Odinga non sono mai stati idilliaci. Quindi l’alleanza nel nome della pace e del anti-tribalismo tra Odinga e Kenyatta potrebbe favorire ancor più Ruto.
La rielezione di Museveni, secondo il Daily Nation, significa il mantenimento dello status quo in Africa Orientale. Sul piano interno, la repressione dei leader dell'opposizione e di coloro che si oppongono al suo governo probabilmente continuerà.
Secondo i rappresentanti delle organizzazioni per i diritti umani e gli analisti politici keniani, la vittoria del vecchio Museveni, susseguente a quella di Magufuli in Tanzania, è un segnale del declino della democrazia in Est Africa, declino a cui l’alleanza tra Kenyatta e Odinga forse non metterebbe fine, ma che potrebbe rappresentare una soluzione di mezzo, respingere l’idea di dittatura con un’oligarchia interetnica che mantenga la pace e prosegua il discorso di Uhuru sullo sviluppo del Paese, anche se il sempre più copioso debito pubblico e la ricerca continua di appigli cinesi o americani non fanno presagire nulla di buono dal punto di vista economico.
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