EDITORIALE
29-01-2024 di Freddie del Curatolo
Sabato scorso, le manifestazioni a Nairobi, Mombasa e nei principali capoluoghi di contea del paese, organizzate dalle associazioni per i diritti delle donne, hanno convogliato tante keniane e anche keniani di ogni età e fascia sociale. Anche nel paese di cui vi raccontiamo le storie, e non solo quelle dei nostri connazionali, per farvi comprendere in maniera più approfondita il mondo a cui vi siete approcciati, si è alzato forte un unico grido d’allarme contro il crescente fenomeno dei femminicidi.
Dall’inizio dell’anno, ogni giorno si registra almeno un caso di violenza estrema nei confronti di una donna e, se la terribile media ricorda tristemente quella italiana, le dinamiche che fanno aumentare i casi e le vittime, aprono scenari inquietanti sulla società di una nazione che si è imbarcata in un indiscutibile sviluppo economico e sociale, senza però aver pensato troppo a partire dalle basi culturali ed a “svecchiare” certe antiche architetture mentali.
Nei primi giorni dell’anno, in un Airbnb di uno dei moderni quartieri residenziali di Nairobi, è stato trovato il corpo senza vita di una nota influencer keniana, la giovane e procace Starlet Wahu, nipote di un noto predicatore-social (mestiere che, al pari degli evangelisti da Youtube, va fortissimo in Kenya). Le telecamere del residence hanno permesso agli investigatori di identificare in tale John Matara, la persona ad essere entrata nell’appartamento con l’influencer.
Una volta arrestato e portato ai disonori delle cronache locali, Matara è stato riconosciuto da molte altre donne come una sorta di playboy estortore. Organizzava appuntamenti galanti per poi ricattare le vittime, specie dopo averle molestate, legate o costrette a rapporti particolari ed averle filmate.
Sempre nella sfera dei ricatti, per la raccapricciante esecuzione della ventenne studentessa universitaria Rita Waeni, avvenuta alla periferia di Nairobi, sono indagati due cittadini nigeriani.
Avrebbero chiesto addirittura un riscatto alla famiglia, prima di strangolare la giovane, tagliarla a pezzi e chiuderla in un sacco della spazzatura, dopo averla decapitata. La sua testa è stata trovata in una diga, a qualche chilometro dalla scena del delitto.
Sono i fatti più eclatanti di cui si sono occupati i media keniani per giorni, che legano altre decine di uccisioni di donne avvenute invece in maniera desolantemente “tradizionale”: liti in famiglia, drammi della gelosia, aggressioni sessuali finite male, pedofilia o comunque molestie a minori. A cui si aggiunge un’altra dinamica che la società maschilista africana, unita all’endemica povertà, porta a galla: questioni di soldi. E’ da queste ultime che molte violenze domestiche sono generate: il marito accusa la moglie della cattiva gestione dei pochi risparmi, specialmente ad ora di cena quando torna dal lavoro. Guai se, a fronte degli spiccioli utilizzati per comprare medicine per i figli o pagare una retta scolastica, si riduce la porzione di polenta. E’ una delle aggravanti del Kenya: da una parte c’è un paese in via di sviluppo, che guarda all’occidente, naviga su internet e assorbe la cultura massificata, dall’altra l’ex terzo mondo in cui ancora tante abitudini sono radicate e figlie di un’educazione familiare a senso unico, del tribalismo e della legge del più forte. Dalla commistione di questo confusionario periodo di mezzo, viene fuori uno scenario da neorealismo italiano del dopoguerra, unito a certa iconografia da Africa nera.
Oggi più che mai è il momento di costruire una nuova narrativa del ruolo femminile in Kenya, ma non solo per il prepotente e frustrato genere maschile, anche e soprattutto per le nuove generazioni di donne-
Nell’ambito di una importante iniziativa della nostra cooperazione in Kenya per sensibilizzare i keniani e specialmente il ceto medio-basso sulla violenza di genere, la sede di Nairobi dell’AICS ha prodotto e fatto mettere in scena ad una compagnia teatrale degli slum di Nairobi, una piéce teatrale che raccontava ai ragazzi di una scuola di periferia con quale sottocultura e quali malcostumi si possa arrivare a considerare normali gli abusi degli uomini nei confronti delle loro mogli, madri, figlie e sorelle, e in che modo, con l'alibi e a volte la ragionevole rassegnazione di non potere fare altrimenti, le stesse cerchino di approfittarne.
E’ dalla scuola, dal nucleo famigliare, dalle iniziative comunitarie che bisognerebbe partire. Lasciando per una volta da parte la dittatura del soldo, e pensando alla vita, che è amore e condivisione.
Lezione che l’Africa delle guerre, dei soprusi, degli schiavismi e delle colonizzazioni, è sempre comunque riuscita a dispensare. Ed in questo la donna è sempre stata al centro di tutto.
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