Editoriali

EDITORIALE

Come sopravvivono i keniani, tra "no hospital" e "magari vax"

I perché di un popolo che sfugge alla globalizzazione

26-07-2021 di Freddie del Curatolo

Il popolo keniano, nella sua coerenza di massa sublimata in immaginario collettivo che lo vuole relativamente pacifico e amichevole, specie in confronto a molte altre popolazioni africane, quasi sempre sfugge ai luoghi comuni e alle facili considerazioni.
Non puoi lamentarti per la completa inefficienza di un servizio o di un dipendente, che subito ti appare un geniaccio capace di tirarti fuori una soluzione da un cilindro completamente vuoto, ci sono categorie di persone capaci di indignarti e allo stesso tempo commuoverti, risvegliare i più biechi istinti primordiali e renderti mansueto come un soriano.
Anche in questo periodo di pandemia, i keniani hanno dimostrato una certa logica nell’affrontare le diverse sfide che mano a mano gli si ponevano dinnanzi.
Al cospetto dell’ancestrale fatalismo che spesso li preserva dalla disperazione, non si sono sottratti alle abitudini che maliziosi e superficiali chiamano menefreghismo e che osservatori e saggi chiamano realismo.
C’è chi, parlando della loro reazione alle campagne di informazione e proselitismo ha cercato ad esempio di definirli “no vax”, giusto per appioppargli un epiteto che globalizzi anche loro come da tempo avviene nei paesi occidentali.
I keniani che fanno numero, non è mai abbastanza ripetitivo ricordarlo, sono i cittadini poveri, quelli che galleggiano sopra la soglia minima di sostentamento quotidiano, definita in un dollaro circa.
Ecco, come si può dare a loro dei “no vax” come a un qualsiasi divoratore di informazioni italiano, a chi ne fa un discorso politico, filosofico, di interessi che vanno dalle vacanze a Formentera all’attività in bancarotta?
Quel tipo di keniano, che poi rappresenta l’ottanta per cento degli abitanti, più che un “no-vax” è un “no-hospital”, nel senso che per lui l’ospedale costituisce già un pericolo, un’insidia, un luogo di cui non si ha fiducia e che potrebbe affiggere all’ingresso la famosa epigrafe dantesca “lasciate ogni speranza o voi che entrate”.
Prima del vaccino, i keniani si sono dovuti misurare con le malarie, la tubercolosi, il colera, l’Aids e una serie interminabile di patologie che i medici non hanno riconosciuto o saputo curare.
Oppure per cui le cure erano decisamente troppo costose.
Come si fa a pensare di fare una questione di principio sui vaccini?
Probabilmente anche se arrivasse il tanto sospirato vaccino per la malaria, lo Stato dovrebbe renderlo obbligatorio, almeno per neonati e bambini, e praticarlo nelle scuole o a domicilio, per avere successo. Non a caso, nelle iniziative di solidarietà di fondazioni o enti benefici, come quelle frequenti contro la polio ad esempio, si organizzano "medical camp": la gente viene visitata, medicata e vaccinata allo stadio o nei cortili delle scuole. Mai in ospedale.
Oggi però, di fronte alla crisi economica e alla fame che avanza inesorabile, come da stime della Banca Africana di Sviluppo, riportate da Angelo Ferrari in un eloquente articolo dell’Agenzia Italia (AGI), c’è chi sta iniziando a chiedere al proprio Governo di importare altre dosi, come peraltro promesso dal Ministero della Salute. Ad agosto, secondo le dichiarazioni del Ministro Mutahi Kagwe, dovrebbero arrivare 12 milioni di vaccini Johnson & Johnson. Ma da quando lo ha annunciato, lo scorso mese di giugno, è calato il silenzio.
Operatori del turismo, della ristorazione, driver ed altri lavoratori al pubblico affronterebbero anche l’idiosincrasia alle strutture sanitarie, pur di ripartire verso un futuro un po’ meno povero, in cui i prezzi degli alimenti indispensabili per vivere non continuassero ad aumentare.
Come rileva Ferrari “il riequilibro a favore di un piano di sviluppo per la sicurezza alimentare, dovrebbe essere la priorità per le economie del continente se non vogliono impattare contro una società sempre più insofferente per mancanza di politiche di welfare. La sfida è enorme”.
Così ecco che i keniani ci stupiscono per l’ennesima volta, tra i “vax” e i “no-vax” spuntano i “magari-vax”. E’ sempre la solita vecchia solfa: chi pensa di poter scegliere, vuole avere il diritto di fare il difficile, il saputello, il “contro” per principio o (anche giustamente) dimostrare che c’è ancora qualcosa per cui si può definire “libero”.
Chi è libero perchè non ha nulla e può scegliere quasi esclusivamente tra il male e il peggio, ha spesso le idee più chiare e meno pregiudizi.   

 

TAGS: no vax kenyavaccini kenyaospedali kenya

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