LUTTO
06-09-2021 di Freddie del Curatolo
Nella Malindi dei pionieri, che non fu solo quella di amanti della caccia grossa e avventurieri o di eccentrici viaggiatori, ma anche quella dei professionisti, tecnici o anche manovali al seguito dell’ingegner Luigi Broglio nella creazione del primo centro spaziale italiano in Africa, Dino Lesa occuperà sempre un posto speciale.
Che non è né un olimpo da vip, né tanto meno un palmeto di misteri, intrighi, vicende piccanti, splendori o miserie ed altri risvolti che creano spesso le sceneggiature ideali per la storia degli italiani in Kenya.
Dino avrà sempre il suo posto a sedere in un bar davanti al mare, di quelli speciali in cui si incontrano persone semplici e genuine che, in ogni angolo di mondo, saprebbero donarti la stessa serenità, il medesimo modo garbato e leggero di porsi e avrebbero sempre qualcosa da raccontare.
Dino Lesa, friulano di nascita e di cuore, ci ha lasciato nei giorni scorsi a 88 anni, di cui 51 passati in Kenya.
Arrivato alla fine degli anni Sessanta subito dopo l’apertura della base San Marco a Ngomeni, era il classico manutentore che sapeva fare di tutto. Da elettricista a idraulico, da costruttore a meccanico, non c’era problema che per lui non fosse risolvibile e se ci si metteva di mezzo l’Africa, sapeva bene come rimediare e al limite, come non crucciarsi troppo.
Una birretta (white cap, la sua preferita) al Baobab Bar, davanti all’oceano indiano, all’ora del tramonto e qualche amico con cui ironizzare un po’ su tutto.
E quante coppie di birre abbiamo fatto tintinnare insieme, come anime danzanti davanti alle onde di Vasco da Gama. Dino mi raccontava di come il mare arrivasse dove oggi c’è la strada e come quella fosse la musica migliore che il Baobab potesse garantire.
Poi fiorivano mille altri aneddoti, mentre costruiva il forno a legna della mia pizzeria o si occupava della casa di uno dei tanti connazionali che si fidavano di lui.
Aneddoti che facevano seguito a quelli conditi con la risata sempre pronta e accompagnati dalle favolose insalate con la cicoria del suo orto che impreziosiva cene tra amici, di cui tanti sono andati prima di lui.
Aveva fatto a tempo a festeggiare l’ottantesimo compleanno, prima che i figli lo convincessero a tornare in Italia. A Roma, tra i propri cari ha trascorso i suoi ultimi anni con la stessa pacatezza che lo ha sempre accompagnato, senza mai dimenticare i suoi giorni buoni a Malindi. Buoni, come il suo cuore e il suo carattere. Una malattia lenta e inesorabile, ma fortunatamente rispettosa di una persona come lui, lo ha portato via “pole pole”.
La white cap di questa sera al calar del sole è tutta per te.
Anzi, come preferiresti tu, tutta per noi.
A Federica, Flavio e alle loro famiglie un grande abbraccio.
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