LUTTO
24-11-2020 di Freddie del Curatolo
Ha sempre suonato strano usare la parola “emigrante” per definire un italiano in Kenya.
Eppure fino a una quarantina d’anni fa certi connazionali lo erano.
Per caratteristiche, vocazione alla ventura, provenienza, classe sociale.
Il Kenya è sempre stato un territorio per tutti: nel Dopoguerra iniziarono ad arrivare ricchi latifondisti, neo-industriali del caffè e dell’ortofrutticolo, nobili in odore di decadimento, dirigenti delle (allora) grandi aziende italiche e rampolli di famiglie benestanti.
Accanto a loro, spesso indispensabili, c’era la manovalanza che non ha dato certo meno lustro all’italianità all’estero: elettricisti, idraulici, cuochi o anche volonterosi e caparbi giovani senza arte né parte ma con una gran voglia di crearsi una vita nuova, una stabilità economica sognando di tornare un giorno in pompa magna al paesello natio.
Emigrati in Kenya.
Di questa categoria faceva parte Ennio Grasso, classe 1933, residente italiano di Malindi scomparso ieri dopo una brevissima malattia.
Quelli che passano alla storia quando, come si dice, “fanno fortuna”.
Ma questo appartiene più a terre di pepite e banditi veri come l’America.
Arrivato in Kenya all’inizio degli anni Ottanta dalla Sicilia, Ennio ricordava le sue origini parlando di quando da giovane tirava le reti e guadagnava le prime lire vendendo il pesce.
Ne ha fatta di strada Gaetano Grasso detto Ennio.
Arrivato a Watamu si è presto fatto voler bene nella famiglia della Grandi Viaggi, grazie alla sua capacità di adattamento, di capirsi al volo con la popolazione locale anche solo con un “minchia” al momento giusto. Da tuttofare per il nascente Blu Bay, Ennio ha immaginato un suo villaggio turistico e ha acquistato lo splendido terreno sul mare dove ancora oggi sorge la sua creatura, il Barracuda Inn. Guardacaso, nome di un pesce. In quel nome e in quell’INN, le “locande” internazionali di una volta, c’erano le due anime di Ennio, l’attaccamento alle origini e l’ambizione, la voglia di osare.
Nonostante vari contratti con agenzie e tour operator, il Barracuda Inn è stato per anni la casa di Ennio. Uno dei primi a “fidelizzare”, come si dice oggi, i clienti, a farli diventare anno dopo anno degli amici che tornavano anche per rivedere lui.
Non era un uomo facile, come si potrebbe dire di tanti connazionali che spesso sentono la nostalgia del proprio Paese, il taglio delle radici e hanno dentro qualcosa che quotidianamente tira come una rete da pescatore. Ennio sfogava queste sue frustrazioni soprattutto al casinò, “maledetto casinò” come lo chiamava spesso.
I tempi cambiavano e forse la voglia di osare non riusciva a sfogarsi altrove.
Ma poi, a partire dal mitico Bobby, quel casinò era diventato la sua vera famiglia. Italo-americana, come i veri emigranti.
L’altra passione-lavoro che lo teneva attaccato al nostro Paese era l’importazione di prodotti alimentari. Non sempre azzeccati, non sempre di prima qualità, ma quando glielo appuntavi ti rispondeva “e chi me lo compra qui u’ tartufo?”.
L’ultima volta che ci siamo visti è stato nel negozio sulla Malindi-Mombasa che aveva recentemente aperto, di fronte all’aeroporto. Mi ha invitato a sedermi come faceva lui per ore, davanti all’ingresso. Alla maniera dei vecchi del Meridione, quando si mettono serenamente a chiacchierare aspettando il tramonto. Del sole e della vita.
“Guarda quanta roba invenduta, ma che dici quando torneranno i turisti?”
I turisti torneranno, prima o poi.
Emigranti da letteratura come Ennio Grasso non ce ne saranno più.
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