EMERGENZA
14-04-2020 di Freddie del Curatolo
Mentre il Kenya supera quota 200 casi ufficiali di positività al Coronavirus dopo un mese esatto dal “paziente zero” importato dagli Stati Uniti via Londra (una donna keniana, vale la pena ricordarlo, dopo i tanti timori e gli anatemi lanciati da tanti a cinesi prima e italiani poi), il Governo continua a muoversi in maniera intelligente, sicuramente al di là delle più ottimistiche aspettative.
La tattica è quella di un team ben conscio dei problemi sanitari, sociali e di ordine pubblico del Paese e delle abitudini addirittura ancestrali del suo popolo.
Per questo motivo, oltre all’opera quotidiana di convincimento e del tambureggiante messaggio di rispettare distanze, lavarsi mani e disinfettarsi e mettere la mascherina, il Ministero della Salute da ieri è stato anche deciso su uno dei problemi che hanno già afflitto l’Africa (non il Kenya per fortuna) durante una recente epidemia, quella del virus Ebola.
Il problema è rappresentato dalle tradizioni, dai customi di retaggio tribale e dei villaggi rurali, che rappresentano almeno la metà degli abitanti di questa Nazione.
In particolare il timore dei grandi contagi si riversa sui funerali, e due giorni fa se n’è avuta una prova concreta. Uno degli ultimi pazienti a passare a miglior vita, James Onyango, cinquantanovenne dipendente del Porto di Mombasa, dopo essere tornato al villaggio natio nella Contea di Siaya, sul lago Vittoria, ha manifestato sintomi evidenti di infezione da Covid-19 e una volta deceduto in una clinica locale, i parenti hanno disposto per lui un funerale “lampo” di notte, contravvenendo al coprifuoco vigente nel Paese e soprattutto presenziando in più di cinquanta tra parenti e compaesani, nonostante la disposizione di non superare le quindici persone, oltre a rispettare la distanza di almeno un metro tra i convenuti.
All’arrivo della polizia molti partecipanti si sono dileguati, ma come ha riferito lo stesso Ministro della Salute Mutahi Kagwe, 45 persone sono state recuperate e portate in strutture di isolamento per la quarantena, mentre altre stanno per essere rintracciate, compresi alcuni che si sono dati alla fuga nottetempo.
Secondo Kagwe i funerali rappresentano uno dei veri pericoli per la diffusione del virus e non a caso una delle prime direttive espresse dal Governo kenyano riguarda proprio gli eventi pubblici di carattere tradizionale, ovvero matrimoni e funerali.
E’ chiaro che per i kenyani passare da cerimonie funebri che durano dai 3 ai 5 giorni con centinaia di persone, parenti che giungono da altre località o addirittura dall’estero, a sepolture veloci che durino non più di qualche ora e si svolgano in maniera più sobria ed asettica possibile, è quasi un dramma. Il fatto che poi tra i partecipanti ci siano sicuramente parenti e persone che con il morto di Covid-19 hanno avuto rapporti recenti, rende questi consessi davvero pericolosi, tenuto conto che solitamente le tradizioni etniche prevedono balli, abbracci ed altri riti che contrastano totalmente con le direttive del Governo keniano, improntate alla distanza, al restare nel proprio habitat e non partecipare ad alcun evento di massa. Per questo il Ministro non ha escluso misure ancor più restrittive e pene più severe.
Ma tant’è, il peggior nemico del popolo keniano, in questo momento, ancor più del virus, sono le sue abitudini e le tradizioni che a volte sembrano più forti e radicate della vita stessa.
(foto: Leni Frau/malindikenya.net)
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