EDITORIALE
02-01-2021 di Freddie del Curatolo
Dopo un 2020 del genere, come in tutto il mondo, anche in Kenya ci si attende un nuovo anno all’insegna di novità positive, pur temendo gli effetti nocivi di quel che è accaduto nei mesi precedenti, soprattutto in chiave economica.
Per quanto riguarda il Paese in cui noi viviamo e di cui vi raccontiamo quotidianamente, gli aspetti da considerare riguardano soprattutto la situazione di milioni di persone che già prima del fatidico marzo 2020 vivevano in situazioni al confine tra la decenza e la disperazione.
L’inflazione galoppante è una delle prime considerazioni che non riguardano solo i massimi sistemi, ma anche la vita di tutti i giorni delle persone comuni, specialmente di chi è abituato ad affrontare il quotidiano con grande incertezza. Lo scellino ha raggiunto quote di debolezza nei confronti di dollaro ed euro che stanno portando i prezzi dei generi di prima necessità che non sono prodotti nazionalmente a quote preoccupanti. Si parla non solo della benzina ma anche di farmaci (e si sa quanto siano fondamentali in questo periodo) e della tecnologia, di cui faremmo volentieri a meno se non fosse diventata indispensabile per gestire qualsiasi tipo di lavoro e commercio.
L’altro aspetto riguarda il debito pubblico, con tutti i fondi avuti in prestito negli ultimi anni e a cui il Governo ha già detto che non riuscirà a fare fronte. Questo problema potrebbe ricadere sulle aziende di ogni genere, sotto forma di tasse.
Un’altra preoccupazione coincide con l’approssimarsi della campagna elettorale, per le votazioni che si terranno nel 2022. Nonostante le grandi operazioni dei due leader storici, il Presidente Uhuru Kenyatta e l’ex Primo Ministro e capo dell’Opposizione Raila Odinga, per predicare pace e unità e scongiurare battaglie che indeboliscano ulteriormente il Paese, il processo di accaparramento di consensi che con tutta probabilità prenderà il via già dall’estate di quest’anno, sarà un altro “sacco” che non porterà giovamento.
L'esportazione può essere di nuovo uno dei punti forti: tè e caffè, specie con il calo del potere d'acquisto, possono tornare ad essere trainanti, così come l'agricoltura, e chiamare aziende internazionali ad investire in una Nazione di cui si conoscevano già le potenzialità prima della pandemia.
Per quel che ci riguarda da vicino, il ritorno del turismo numericamente consistente è previsto non prima di novembre, anche se ad agosto già si potrebbero vedere buoni risultati e da qui prospettive per risollevare un settore che comunque rappresenta un decimo del PIL del Kenya e che specialmente sulla costa è fondamentale per tornare a respirare.
Ma è anche vero che per riprendere fiducia e dare un’immagine serena e invitante di questa destinazione, bisognerà investire molto e la concorrenza sarà ancora più spietata.
In mezzo a tutti questi pensieri e previsioni, c’è la vita di tutti i giorni, c’è un popolo e chi ci convive che vuole riprendere quella crescita che fino al 2019 aveva fatto sperare in un futuro sostenibile e che aveva visto esempi edificanti in alcune scelte del Governo, come la tutela dell’ambiente e le tante partnership con Nazioni amiche. Non solo quelle con contratti-capestro come nel caso delle infrastrutture dei cinesi, ma anche quelle con l’Unione Europea legate alla Blue Economy (rilancio della filiera della pesca e delle politiche di conservazione sulla costa) e con Francia e Paesi Scandinavi per energie alternative nella Rift Valley. Aggiungendo gli ultimi incontri tra Kenyatta e i vertici dell’italiana ENI.
Insomma, usando una metafora cara ai keniani, bisogna riprendere a marciare perché ci si appresta ad affrontare un tempo di fatiche e di obbiettivi da raggiungere sulle lunghe distanze, come la maratona. L’allenamento c’è, speriamo che ci sia anche la coscienza e la voglia di ripartire da zero, aspetto che solitamente premia più i Paesi africani che quelli abituati ad essere in “pole position”.
Tutti quanti ai nastri di partenza con la stessa posizione, basta che nessuno ne approfitti e che non ci siano false partenze.
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