TERRITORIO
07-02-2019 di Freddie del Curatolo
Il primo progetto keniano di “Blue Economy“ per la salvaguardia dell'ecosistema e lo sviluppo sostenibile, sarà approntato nel creek di Mida e porta anche la firma di un italiano.
Il Governo del Kenya ha deciso recentemente di puntare molto sulla cosiddetta “Blue Economy”, ovvero la tutela delle risorse marine, lacustri e della costa come patrimonio ambientale, culturale e di sviluppo economico.
Basti pensare alla pesca, che costituisce uno dei punti cardine dell’esportazione nazionale (dal Persico del Lago Vittoria a calamari e crostacei dell’Oceano Indiano) ai gas naturali presenti nei fondali nell’arcipelago di Lamu o all’archeologia marina, campo nel quale al largo delle acque keniane è ancora tutto da scoprire.
In questo ambito, portato alla ribalta dalla recente conferenza internazionale che si è tenuta proprio a Nairobi e dall’interesse amplificato dal Ministro del Turismo Najib Balala, il primo progetto degno di nota partirà nei prossimi mesi nel Mida Creek e c’è anche un nostro connazionale coinvolto.
Si chiama “Rising from the depth” ed è un’iniziativa portata avanti da un gruppo di ricercatori, con diverse attitudini ed esperienze, grazie alle risorse messe a disposizione da un fondo britannico per lo sviluppo gestito insieme con l’Università di Nottingham e coordinato qui dal British Institute for Eastern Africa.
Si tratta di progetti legati alla biodiversità della zona compresa tra il Mida Creek e l’Arabuko Sokoke Forest, a sud di Gede (30 km circa da Malindi). Progetti che puntano a coinvolgere la comunità locale, in particolare le donne, portando all’attenzione i temi della conservazione e dello sviluppo ecosostenibile come risorsa per combattere la povertà e creare posti di lavoro.
La zona di Mida e dell'Arabuko Sokoke meritano di essere conosciuti e scoperti dal turismo internazionale ma nell'ottica di preservarli e di tramandare alle nuove generazioni una logica da "riserva", esattamente come si fa nel Samburu o in certe zone del Maasai Mara.
“Bidii Na Kazi Women Group”, diretto dalla dinamica Arafa Salim Baya, sarà il fulcro di questo progetto, che per la parte di comunicazione e strategie ha due coordinatori sul campo: il finlandese Pena Turonen e l’italiano Simone Grassi.
E’ lo stesso Grassi, documentarista ligure con alle spalle diverse ricerche e lavori sulla costa keniota, a spiegarci nel dettaglio cosa verrà fatto a Mida.
“Si lavorerà sulle tante risorse di questo territorio, che include il mare e i suoi fondali, l’ecosistema delle mangrovie con le sue particolarità (la produzione di miele, ad esempio) e la foresta pluviale di Arabuko Sokoke, senza dimenticare la deriva turistica che può portare benefici economici alla comunità”.
Uno dei progetti, infatti, riguarda la costruzione di un ristorante che verrà gestito dalla gente del luogo e di un dhow, la caratteristica imbarcazione swahili che potrà essere utilizzata in vari modi.
In più Simone coordinerà il progetto mediatico e multimediale di “Rising from the depth”, ovvero la creazione di una piattaforma interattiva online in cui potranno essere inseriti contributi video, audio e testuali.
“Oltre ad inserire alcuni video prodotti da noi sul territorio – illustra il ricercatore italiano – faremo training ad un gruppo di donne dell’associazione keniana su come utilizzare i mezzi di ripresa e di montaggio, arrivando a far sì che siano loro stesse a produrre ed inserire nel portale filmati in cui racconteranno le storie e le possibilità del loro territorio. Questi video si avvarranno di percorsi interattivi e collegamenti ipertestuali che comporranno veri e propri viaggi virtuali all’interno dell’ecosistema di Mida Creek”.
Nel progetto c’è anche la collaborazione del Museo Nazionale del Kenya, il cui Curatore per la Contea di Kilifi è Caesar Bita, che è anche il più importante archeologo sottomarino del Paese.
“E’ un bene che i fondi britannici siano stati destinati a questo nostro progetto – ha detto Bita – perché Mida è l’esemplificazione di cosa voglia dire “Blue Economy”, ovvero lo sviluppo sostenibile degli ambienti acquatici come patrimonio non solo ambientale, ma culturale, turistico ed economico del Kenya”.
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