Editoriali

EDITORIALE

I rischi della guerra tra Israele e Iran per il Kenya

Petrolio, commercio, sicurezza: il punto della situazione

17-06-2025 di Freddie del Curatolo

L’aumento della tensione in Medio Oriente e gli attacchi tra Israele e Iran, oltre a minacciare l’intero occidente e risvegliare timori di una escalation nucleare, avranno immediatamente ripercussioni anche sul Kenya e sull’Africa orientale in generale.
A livello geopolitico, la posizione strategica del Kenya nell'Africa orientale lo pone al crocevia di interessi contrastanti, rendendo fondamentale il mantenimento di relazioni equilibrate con entrambe le parti. Pur essendo infatti Israele un alleato fondamentale, in particolar modo per la sicurezza, il Kenya non può sottovalutare la presenza islamica (non solo per l’undici per cento dei praticanti, ma per gli interessi economici che rappresentano) e la minaccia del terrorismo, anche sotto forma di ripercussioni e delle implicazioni diplomatiche che comprendono i rapporti con la tribolata vicina Somalia e quelli con il Medio Oriente.

Già all’inizio del conflitto contro Hamas, per via dei massacri contro i civili a Gaza, molti keniani e non solo mussulmani hanno simpatizzato con la Palestina, sfilando e mobilitandosi sui social a favore del cessate il fuoco e dell’indipendenza della Palestina.
Finchè si trattava esclusivamente della Striscia, nonostante i rischi, da cui peraltro non è esente qualsiasi nazione mondiale che abbia preso le distanze da Hamas, il governo Ruto ha confermato più volte il pieno appoggio ad Israele.
Con l’Iran ovviamente la situazione è diversa. Non si sta parlando di una piccola realtà purtroppo inquinata da frange estremiste che chiede di essere accettata come realtà indipendente, ma di un grande, potente Stato con una storia e una cultura antichissime, attualmente in mano a un’oligarchia molto poco democratica. L'economia del Kenya dipende fortemente dal commercio, dalle relazioni tra Paesi più evoluti e dal turismo, da qui la decisione di evitare tatticamente di schierarsi da una parte o dall'altra, poiché ciò potrebbe influire in modo significativo su tali aspetti.
Il Kenya è il secondo partner commerciale dell'Iran nel continente, dopo il Sudafrica, le relazioni tra i due Paesi hanno più di mezzo secolo, e la rivoluzione islamica del 1979, contrariamente a quanto si possa pensare, li ha rafforzati.

Nel 2023 le esportazioni del Kenya verso l'Iran sono state pari a 48 milioni di dollari, tra i prodotti esportati figurano caffè, tè, carne e manifatture.
Per quanto riguarda l’import, l’Iran è un fornitore di petrolio, anche se non quanto Arabia Saudita ed Emirati, ma un recente accordo ha aumentato l’importazione a 4 milioni di tonnellate all’anno prodotti chimici inorganici/organici, fertilizzanti, articoli in plastica e in vetro, oltre che pietre preziose o semipreziose. Vi sono anche accordi bilaterali nel campo dei trasporti e dell’istruzione.
Il primo avvertibile problema che creerà questa guerra a livello economico, sarà quindi l’aumento del prezzo del petrolio, di cui già si avvertono i prodromi e che per il Kenya, oltre che risentire dell’incremento mondiale del 6% (più di 4 dollari al barile) significa anche l’aumento dei prezzi di trasporto attraverso il golfo Persico. Già afflitto dagli attacchi degli Houthi alle navi mercantili, il Mar Rosso è diventato un corridoio instabile, costringendo i vettori di merci a deviare verso il Capo di Buona Speranza. Ciò comporta prezzi più elevati, ritardi più lunghi e una pressione crescente sull’economia, con il rischio di minare la già debolissima ripresa.

Da questa settimana infatti in Kenya la super, alla pompa, costerà 2,70 scellini in più al litro e a luglio potrebbe aumentare ancora, secondo gli esperti si potrà assistere a un aumento dei prezzi del carburante del 5-7% entro due settimane. Con la benzina più cara, si può prevedere l’aumento dei trasporti, delle spedizioni e delle tariffe dei biglietti aerei.
Il Kenya si è fatto sentire per la prima volta ieri, sulla guerra tra Tel Aviv e Teheran.
In una dichiarazione, il viceministro degli Esteri Korir Sing'oei ha chiesto il ripristino delle relazioni diplomatiche tra le due nazioni e il blocco degli attacchi incrociati, chiedendo allo stesso tempo alle Nazioni Unite una presenza forte ed una risposta immediata per la pace.
“Stiamo seguendo con profonda preoccupazione l'escalation della situazione in Medio Oriente, che rischia di sfuggire al controllo con gravi conseguenze per la pace e la sicurezza regionale e globale”, ha dichiarato Sing’oei.

TAGS: IsraeleIranguerraGolfo PersicoMar Rossobenzinapetrolioimportazione

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