EDITORIALE
04-05-2023 di Freddie del Curatolo
Lo ha ribadito anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, durante la sua visita ufficiale: il Kenya è da sempre e sempre di più un “cuscinetto di pace” in mezzo alle tante insidie, dispute e battaglie che spesso sfociano in guerre sanguinose dell’Africa subsahariana.
Il numero uno dell’Onu è a Nairobi per incontrare il presidente William Ruto e discutere della drammatica situazione in Sudan. Ruto fin da subito si è proposto come uno dei leader della possibile, sperata mediazione tra le fazioni in guerra a Khartoum e dintorni che stanno dilaniando il paese e costringendo alla fuga decine di migliaia di cittadini.
Non è la prima volta che il Kenya assurge al ruolo di pacificatore (o almeno ci prova): la ritrovata solidità della sua democrazia, seppur leggermente minata dall’incosciente opposizione di Raila Odinga e dei suoi alleati (nelle modalità, più che nelle richieste) dopo le elezioni dello scorso agosto, ha convinto una volta di più gli attori internazionali dell’affidabilità della nazione come guida per risolvere i problemi politici e di sicurezza del Corno d’Africa e della regione dei grandi laghi. E’ successo recentemente nella guerra civile scatenata dalle repressioni seguite alle rivolte nella regione autonoma etiope del Tigrè, e va avanti da tempo nella Repubblica Democratica del Congo, con la difficile trattativa tra governo di Kinshasa e ribelli del gruppo militare M23 a nord est del paese, e con l’influenza più o meno presunta del vicino Ruanda. Ieri anche l'opposizione, dopo l'ennesima giornata di proteste che ha creato disagi a Nairobi e Kisumu, ha saggiamente deciso di annullare le manifestazioni previste per oggi, accettando di risedersi ai tavoli bipartisan in parlamento per discutere delle riforme elettorali.
In mezzo a questi fragili equilibri, c’è la situazione mai facile del Sud Sudan, peraltro come l’Etiopia confinante con il Kenya e quella ancor più delicata con la Somalia, ricettacolo di terrorismo jihadista e aggrappata a governi sempre a rischio e nuove autonomie spesso finanziate da signorie islamiche.
Il cuscinetto Kenya diventa essenziale, non solo per l’Africa subsahariana, ma per tutti gli investimenti e gli accordi tra potenze straniere e grazie a questa prerogativa spesso ha potuto approfittare di aiuti anche economici e relazioni diplomatiche importanti, a partire dalle varie agenzie di sicurezza (leggi “servizi segreti”) internazionali.
L’essere etichettato come paese sicuro o quantomeno portatore sano di pace è una responsabilità non da poco, ma anche un biglietto da visita per economia, e può attrarre nuovi investimenti oltre che ravvivare il turismo in un momento in cui la ripresa è più che necessaria.
Ben venga quindi questa consacrazione, se può far comprendere ai governanti e all’opposizione che ci sono aspetti più importanti e addirittura remunerativi della cieca e sorda sete di potere.
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