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06-04-2023 di redazione
I migranti africani continuano ad essere una drammatica consuetudine nel mediterraneo, specialmente sulle coste italiane. Ma la situazione è anche peggiore prima di approdare in Libia, in Marocco, in Grecia e negli altri porti di fuga. Di sicuro il trauma principale riguarda l’abbandono della terra natia e poi il percorso attraverso altri paesi, spesso ostili, prima di raggiungere l’ultimo ostacolo alla speranza, il grande mare da cui spesso non si torna.
Anche quest’anno le Nazioni Unite, tramite l'Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR) hanno trasmesso l’elenco dei paesi da cui più cittadini, disperati, partono con l’intenzione di raggiungere l’Europa.
Il Kenya si conferma per l’ennesima volta uno degli ultimi paesi i cui migranti s’imbarcano per le “traversate della speranza”. In testa, come sempre, Somalia e Nigeria, poi i paesi dell’area occidentale (Gambia, Burkina, Costa d’Avorio, Mali, Senegal, Guinea Bissau, Camerun) e di quella centrale (i due Congo e la Repubblica Centrafricana), oltre a Sudan ed Eritrea. Nell’area subsahariana le migrazioni riguardano paesi vicini, ad esempio dal Burundi si migra in Tanzania, Uganda e nello stesso Kenya, da Malawi, Zimbabwe e Lesotho in Sudafrica. Poi ci sono nazioni come il Ruanda dove la gente ha il minimo indispensabile e i servizi pubblici migliorano (spesso questo capita a fronte di una limitazione delle libertà, ma qui dovremmo aprire un lungo, non sempre facile discorso su democrazie imperfette e dittature illuminate in Africa...) o dove i governi non sono corrotti e non ci sono disfide etniche, come ad esempio il Botswana.
Perché il Kenya non ha cittadini in fuga?
Eppure la situazione in certe regioni è critica e molto peggiorata. Intanto c’è da dire che non è la povertà, problema con cui l’Africa convive da sempre, il problema principale. Nessuno lascerebbe casa sua, il suo fazzoletto di terra, la capanna e i propri affetti, se non fosse costretto da altri fattori. Intanto un paese non in guerra, poi la convivenza tra gruppi etnici e religiosi differenti, infine grosse emergenze alimentari.
Per i keniani, alcuni di questi problemi si stanno verificando da quest’anno e, anche se non è mai stato nell’indole loro scappare dal proprio paese, dovranno fare i conti con la crisi idrica e la fame. Tare che poi si portano inevitabilmente dietro i conflitti, come sta accadendo ultimamente nella Rift Valley e nelle regioni di Baringo e Turkana.
Durante la recente visita del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, che ha tenuto un discorso sull’ambiente all’Università di nairobi, è stato toccato più volte il tema delle migrazioni e lo stesso capo di Stato ha ricordato che paesi come il Kenya, che sono un passo avanti rispetto a molte altre realtà del continente, devono guardare oggi a non degenerare nei problemi che portano poi la loro gente a scappare e specialmente i giovani.
Per questo non solo viene considerato un paese che ancora “se la può cavare” ma è uno di quelli con cui collaborare perché mantenga il suo popolo in condizioni accettabili a casa sua e diventi un esempio virtuoso e vincente di come l’Africa possa risolvere le questioni che costringono migliaia di persone riluttanti a mettersi in viaggio, senza la certezza di arrivare vivi ad una meta di cui spesso non hanno mai sentito parlare.
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