Credo che in un periodo storico funestato da conflitti di ogni genere, e dai minimi storici di valore della parola “rispetto”, per un italiano residente in Kenya come me, e tanti altri presenti ieri al sacrario di Nyeri, fosse importante presenziare alla cerimonia in memoria dei prigionieri che persero la vita non in battaglia, durante la seconda guerra mondiale, ma in campi di detenzione inglesi.
Dietro ad ognuno dei nomi scolpiti nelle lapidi che li ricordano nella chiesa di Nyeri, c’erano altrettante giovani vite, aspirazioni, famiglie e figli che ne attendevano il ritorno.
C’è l’ingiustizia del trattamento disumano dei prigionieri di guerra, che viene perpetrata anche oggi, in barba alle convenzioni internazionali, come ha illustrato con un interessante excursus l’ambasciatore Roberto Natali, ci sono mille aneddoti meno noti dell’epica fuga dal campo per scalare il monte Kenya di Felice Benuzzi e dei due compagni di prigionia Balletto e Barsotti, raccontata nel fantastico libro “Fuga sul Kenya”.
C’è in definitiva la storia di oltre 700 italiani che non deve essere dimenticata e di che ho accettato di buon grado di coltivare ed approfondire, dopo la scomparsa dell’amico studioso Aldo Manos, che l’ha riportata alla luce qualche anno fa, scoprendo moltissime cose e creando relazioni con parenti e discendenti dei caduti e grazie all’aiuto del Comites.
E’ stata una giornata giusta, importante, piacevole e di condivisione, con un’Africa placida e gentile come sa spesso essere, in barba alle tante tragedie, ingiustizie e paradossi a cui anche lei assiste ogni giorno.