COMMEMORAZIONE
05-11-2024 di Freddie del Curatolo
L'infinito e basso cielo azzurro intenso, punteggiato da nuvole opulente, si appoggia sulle dolci verdi colline di Nyeri, con il massiccio di Aberdare sullo sfondo, dove l’Africa, come lo stesso cielo, diventa più oscura e selvaggia. Siamo a due ore e mezza di auto dalla capitale Nairobi, dove domenica scorsa, come ogni anno, si è tenuta la commemorazione dei prigionieri italiani morti durante la detenzione nei campi di lavoro britannici.
Un evento molto più importante e profondo del naturale, dovuto, significato istituzionale che ha, celebrato alla presenza dell’ambasciatore Roberto Natali, insieme con il governatore della contea di Nyeri, Mutahi Kahiga.
Una consuetudine che, come ha detto lo stesso ambasciatore, è allo stesso tempo “un dovere e un monito”. Perché oggi la memoria è più di un tesoro, è una necessita per non precipitare nel buio di questi tempi in cui si perdono valori, punti di riferimento e in cui il rispetto per la storia, la cultura e le tradizioni non sono più considerati beni preziosi per il nostro accrescimento intellettuale e spirituale, ma faldoni polverosi di cui sbarazzarsi in nome di una leggerezza che poi però viene travolta da ogni minimo alito di vento portato dalle correnti della confusione cosmica.
Bando a recriminazioni romantiche e meste, a Nyeri, attraverso il ricordo dei caduti italiani in prigionia durante la seconda guerra mondiale, quest’anno si è voluto celebrare anche chi continua a tenere viva questa memoria, fatta di storie di uomini, dei loro sogni, delle loro famiglie e dei loro discendenti. Fatta di opere, di benefici portati al Kenya, di aneddoti epici e significativi.
Memorie che rischiano inevitabilmente di perdersi e che lo studioso Aldo Manos aveva iniziato a fissare, dedicandosi fino al giorno della sua scomparsa, avvenuta lo scorso giugno, raccogliendo documenti, memorie, testimonianze, e addirittura ritrovando un monumento che stava per essere sbriciolato da una gru in un campo alle porte della capitale. L’opera di Aldo Manos, come ha detto Natali, non può e non deve fermarsi qui, “faremo il possibile perché si possa proseguire ed ampliare”.
Con i carabinieri in grande uniforme storia, i rappresentanti delle comunità missionarie italiane in Kenya, e una nutrita rappresentanza di connazionali, davvero ragguardevole e con tante famiglie e bambini, il ricordo di Aldo Manos e dei caduti ha fatto pensare ai presenti che la memoria è dei vivi e celebrarla, significa celebrare noi stessi “perché siamo noi gli eroi della storia”, come ha ricordato il presidente del Comites, Bruno Giachino, che da tanti anni insieme ai suoi, organizza il trasporto gratis dei connazionali a Nyeri e fa allestire un pranzo di specialità italiane che aumenta il piacere della condivisione.
Perché questo noi siamo, e l’unità, la dedizione e il sacrificio estremo dei nostri connazionali prigionieri in Kenya ce lo ricordano. Le loro vicende, che si intersecano con quelle della storia del Kenya e del rapporto tra i due popoli, è stata illustrata perfettamente dal governatore Kahiga (“il mio primo preside, qui a Nyeri, era di Torino, noi sappiamo bene che gli italiani sono stati fondamentali per noi, portando prima la religione, poi l’istruzione e adesso con la cooperazione in altri campi, tra cui la sanità”).
Noi italiani siamo capaci di grandi cose, e di grande umanità, abbiamo spesso rapporti privilegiati e grande considerazione da parte dei keniani (e lo stesso accade in tanti altri Paesi del mondo), ma è fondamentale non dimenticare la storia di chi prima di noi ha creato i presupposti per questo, con umiltà, genio, sofferenza e talvolta anche rimettendoci la vita.
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