UN GRANDE VUOTO
02-10-2023 di Freddie del Curatolo
L’Africa è un continente di un miliardo e mezzo di persone.
Ma se la consideriamo non come un’entità geografica, politica e demografica, ma come una grande anima, un’energia sprigionata da un muoversi ed un sentire comune...ecco, allora quell’Africa da oggi si sentirà più sola.
E siamo più soli e sconfortati tutti noi che abbiamo a che fare con questa grande energia, perché non avremo più chi ci ha raccontato le storie del continente africano con il raro dono della passione abbinata allo spirito critico, della più lucida analisi immersa nella più autentica emozione. Del pensiero che non si è mai vergognato di essere innamorato e cinico, presente e sognatore, crudele e glorioso.
Proprio come la grande madre.
L’Africa si sentirà più sola, perché ha perso chi, prima di raccontarla, la ascoltava e sapeva guardarla.
Perchè ha perso il giornalista, reporter e scrittore Angelo Ferrari.
La battaglia di Angelo contro il male peggiore era nota a chi lo conosceva e da pochi mesi lo era diventata anche ai suoi lettori, dopo la pubblicazione del suo libro autobiografico “Non so come andrà a finire” che ora più che mai è importante leggere.
E' finita come probabilmente doveva finire, ma maledettamente presto.
E rispetto alle cose che Angelo aveva da dire e da fare, alle idee e ai progetti di nuovi viaggi ed editoriali in cantiere, ancor più bastardamente presto.
L’ho scritto a suo tempo e lo ribadisco, anche perché l'ho imparato da persone come lui: l’Africa è piena di vicende, di sfaccettature, di paradossi e di drammi, di sorprese, di pianti e di sorrisi. E' un inganno nel quale devi cadere per risorgere, un inciampo necessario, un meraviglioso malinteso che ti farà comprendere meglio tutto.
Proprio come la vita di chi la sa vincere e perdere “sul campo”, giocandosela senza nascondersi e senza né dare cose per scontato, né affidarsi a luoghi comuni e pregiudizi.
L’ultima testimonianza scritta di Angelo è una summa di come si possa amare l’Africa con trasporto e razionalità e come si possa lottare per lo stesso motivo per vivere finché ci è concesso il respiro.
Angelo Ferrari non ci insegna solo tantissime cose dell’universo in cui gravitiamo, ci insegnerà sempre anche a resistere, perché a sua volta glielo hanno insegnato tutti gli invisibili, gli sconosciuti, le vite brevi e costrette.
Quelle dei “giusti”, come li chiamava lui citando Borges.
“Quelli che, senza saperlo, cambieranno il mondo”.
La lingua dei giusti non si parla, si ascolta e si osserva. Fino a quando non si diventa, a propria volta e a propria insaputa, giusti.
L’Africa ha perso uno dei suoi più alti, sensibili, intelligenti uomini giusti e non credo se ne dimenticherà.
Anzi, il fatto che ci sia stato un Angelo Ferrari, alimenterà la speranza di vedere altri ascoltatori, altri osservatori e infine altri narratori come lui.
Io ho perso un grande amico e un maestro, per me sarà un po' più difficile.
Un abbraccio forte, fortissimo a Gabriela.
Angelo Ferrari, milanese, aveva 63 anni e per almeno trent’anni ha viaggiato in lungo e in largo l’Africa, come inviato e corrispondente dell’Agenzia AGI, per poi continuare a seguirla dalla redazione italiana.
Ha scritto un'infinità di interessantissimi articoli e parecchi libri, tra cui, a parte l’ultimo “Non so come andrà a finire” (OgZero) vale la pena ricordare “Le nebbie del Congo” (2011), oltre alle collaborazioni con un altro grande africanista prematuramente scomparso, Raffaele Masto (“Mal d’Africa” e “Africa Bazaar”). Angelo coltivava amicizie e collaborazioni. Con Luciano Scalettari ha scritto per Emi "Storie di ordinario genocidio" sulla guerra in Kivu e "Bambini nella guerra", con il sottoscritto ha firmato “La pandemia in Africa” (Rosenberg&Sellier, 2021).
Qui riproponiamo la sua ultima intervista africana, lo scorso agosto a Watamu.
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