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30-06-2021 di redazione
Con tutta probabilità l’Italia prolungherà lo stato di emergenza nazionale legato alla pandemia, che scadrebbe il prossimo 31 luglio e di conseguenza il divieto di spostarsi in buona parte dei Paesi del mondo per turismo.
Tra le destinazioni “proibite”, relegate nel “girone infernale” della cosiddetta “fascia E” c’è anche il Kenya.
Sono tanti i connazionali che da mesi, in previsione della riapertura totale delle frontiere e prima che ci si imbattesse nella simpatica variante Delta, avevano fatto più di un pensierino alla vacanza in Kenya.
Dopo il disappunto, per molti la variazione di programmi e per gli irriducibili posticipare la data del viaggio.
Altri impavidi e poco inclini al cieco rispetto delle leggi, stanno cercando mille sotterfugi per ovviare al divieto.
Tra i tanti lettori che ci scrivono, cercando conforto e soluzioni, la domanda più consueta è: “Ma che tipo di reato commetto se parto per il Kenya? Rischio qualcosa?”
Il primo rischio che si corre, è sicuramente quello di non riuscire a salire sull’aereo che dovrebbe portarvi in Kenya, ovvero di essere fermati al check-in aeroportuale o dalle autorità di dogana.
Questo perché i controlli (se fatti con tutti i crismi) prevedono la richiesta di un’autocertificazione che, insieme ai propri dati, chiede di specificare il motivo del viaggio.
Si può tranquillamente dichiarare il falso e non è detto che vi venga chiesta la verifica di ciò che scrivete. (Ad esempio: “mi trasferisco al mio nuovo domicilio”: ci vorrebbe un certificato di cambio domicilio timbrato in prefettura o al limite il titolo di proprietà di una seconda casa. Oppure: “visita a un parente”, con appositi documenti e fotocopia di un documento che prova la residenza del parente in Kenya).
Nel caso però vengano effettuati controlli “pignoli”, il reato è molto chiaro, e non solo rispetto al decreto per l’emergenza, ma anche per il codice penale: infatti nel caso in cui si dichiarino dati falsi, scatta la disciplina prevista dall’articolo 495 del Codice Penale.
I rischi di dichiarare informazioni false e dati (volontariamente) inesatti nell’autocertificazione per gli spostamenti possono portare a conseguenze sono ben più gravi della semplice multa, dato che si tratta di un reato vero e proprio, dal quale può derivare la denuncia per "Falso in attestazione" e la condanna da 1 a 6 anni in carcere, in base alla gravità del fatto commesso.
Il motivo è semplice: quando un cittadino consegna l’autocertificazione, compilata e firmata, ci si assume la responsabilità civile e penale delle informazioni rese; per questo tutti i dati devono essere veri.
Nel caso del trasferimento in Kenya, come ricorda il sito del nostro Ministero degli Esteri, le motivazioni ammesse sono: rientro al proprio domicilio, residenza o soggiorno principale; esigenze lavorative comprovate, opera di volontariato comprovato, motivi di studio comprovati, vista a parenti.
Tutti gli altri motivi, ancorché premiabili per la fantasia e la verve del tutto italiana, non sono giustificabili.
Il nostro non è né un invito, né un voler fare gli uccelli del malaugurio. Semplicemente, se leggete Malindikenya.net non potrete mai dire "io non lo sapevo". Questa sì, sarebbe vera malafede.
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