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Com'è strano parlare di "Giorno della memoria" in Kenya

In Africa la celebrazione è festa, ma non c'è il senso del ricordare come esperienza

27-01-2023 di Freddie del Curatolo

Oggi in tutto il mondo è il “Giorno della Memoria”, ma qui in Kenya in pochi sanno cosa sia. 
La memoria serve a nulla da queste parti e il giorno sopporta a malapena il peso di se stesso. 
Ci sono tante feste in Kenya: tutte le ricorrenze cristiane e parecchie di quelle musulmane, c’è il giorno dell’Indipendenza come in America, quello della Repubblica come in Italia, il compleanno del primo presidente della Repubblica come in Papuasia, il compleanno del secondo presidente come solo in Kenya.
Dopo essere stato eletto presidente, il 30 dicembre 2007, Mwai Kibaki dichiarò il 31 dicembre festa nazionale, “post-election day”.
Felice intuizione, quel che è successo nei giorni successivi, non proprio di festa, sembra già dimenticato.
Puntualmente qualcuno, durante le elezioni del 2017, ha cercato di riproporne i temi, e fomentare scontri, aizzando malviventi e disperati.
Le forze dell'ordine non sono state da meno nel reprimerli. 
Nel 2017, tra elezioni, controelezioni, nomine e parate, c'è stato il record di feste nazionali.
Ma nessuna vissuta con trasporto, identità e attenzione al senso. 
Aveva ragione il nostro indimenticabile premier Silvio, che forse troveremo di nuovo in sella, magari al Quirinale, nel prossimo futuro: troppe feste fanno male.
Ma il “Giorno della Memoria” in Kenya, e in particolare qui a Malindi, è cosa sconosciuta.
Qui si vive alla giornata, al massimo alla Memoria si può dedicare un’oretta. 
Si potrebbero istituire i “Quarantacinque minuti della Memoria”, tra mezzogiorno e un quarto e l’una.
Poi tutti a mangiare e bere, e gli islamici a pregare.
“Lei sa cos’è il Memory Day?” 
Lo chiedo al proprietario del chiosco di frutta e verdura.
“Vuoi della rucola? E’ arrivata freschissima”
“Memory day?”
“No, non ne ho. Scrivimelo qui che provo ad ordinarlo”.
Provo con l'ambulante delle schede telefoniche.
“Memory day?”
“No, ma ho la tariffa sul week-end, se vuoi”
Ottengo un'alzata di spalle e uno sguardo attonito anche dalla guardia giurata di una banca e dal fintovero masai che ha il banchetto di perline nel mezzo del centro commerciale.
Non cambierebbe molto, anche se chiedessi particolari o date del terribile eccidio in Rwanda, o della rivoluzione in Sud Sudan.
Qui la memoria, nel senso di ricordi, diventa tale solo quando si esce dal Paese.
Allora i ricordi diventano emozioni, rimandano alla Natura, ad esperienze provate, a stati d'animo.
Si tende a rimuovere tutto il resto. 
Naturale che l'Africa non ricordi la Shoah. 
"Qualcuno ha sentito parlare di Olocausto, ma è una cosa di tanto tempo fa che riguardava i tedeschi e gli israeliani", mi dice un indiano kenyan-born che ha studiato a Mombasa.
Come cantava Fossati dell'Argentina, la memoria in Kenya è cattiva e vicina, molto vicina. 
E' la memoria del giorno, di ogni giorno in cui si suda per il pane e si lotta per quel sudore. 
In Africa continuano ad uccidersi in maniera barbara, nel nord del Kenya per le terre e le vacche, oggi tra Congo e Uganda, e da vent’anni tutti i giorni in Somalia.
Sotto le mentite spoglie di "pulizia etnica" o di “gioco di potere” si scatena la guerra peggiore, quella dei poveri. 
Niente docce o fosse collettive, niente camere a gas.
Qui girano machete e coltelli, torce e benzina. 
Il potere, quello vero che non gioca, non muove un dito, questa è il vero “stato di pulizia”.
Ci hanno provato con la democrazia, con il capitalismo.
No, non fa per l'Africa, per il Regno in cui da sempre il leone si batte con la gazzella, il leopardo con il facocero e non c'è battaglia.
La democrazia ha insegnato al leone come battersi con il leopardo e, quel che è peggio, alla gazzella come uccidere il facocero. 
Perchè?
A che serve?
A chi serve? 
Dal Giorno della Memoria in poi siamo abituati a pensare che dietro ogni eccidio, ogni epurazione, ogni guerra, ci siano motivi economici, politici, sociali. In Vietnam per l’oppio e la Cina, in Iraq per il petrolio e l'integralismo, il Venezuela per la cocaina.
Nel resto del mondo sono solo sporadici camion lanciati sulla folla, sparatorie occasionali, saltuari accoltellamenti a caso, ordigni qua e la...
In Kenya sembra assurdo ridurre tutto a due africani ricchi e ubriaconi che vogliono comandare, a due boss di lobby tribali di potere che, dopo essersi sfidati e aver causato migliaia di morti, si sono stretti la mano sorridendo e sono tornati a fare inciuci come nel resto del mondo.
Eppure è così.
D’altronde siamo nella Terra del “Non c’è un perché”.
Oggi, “Giorno della Memoria”, altri innocenti a qualche migliaio di chilometri da casa mia sono stati ammazzati e siamo in così pochi, quaggiù, a portare addosso il peso di così tanti giorni da vivi.

TAGS: Malindi memoriaKenya ricordiKenya giorno

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