EDITORIALE
07-10-2024 di Freddie del Curatolo
Ogni qual volta nella nostra società si avvertano i tonfi sordi della caduta di valori, i silenzi terrificanti della mancanza di comunicazione, le urla soffocate della depressione, i clangori di nuovi pericolosi capipopolo e il metallico frastuono delle guerre (e purtroppo nel Terzo Millennio avviene sempre più spesso), si riaffaccia nell’immaginario collettivo la teoria della “fuga eroica”, abbinata a racconti mirabolanti corredati da immagini di luoghi da sogno e irrorati dall’invidia per chi ha avuto il coraggio di “scappare”, di rifarsi una vita, abbandonando le tristezze, le ingiustizie, lo stress di questo mondo.
Non ci crederete, ma sono tutte storie vincenti, che iniziano sempre con non poche difficoltà ma alla fine, grazie alla caparbietà di perseguire un obbiettivo, quello di “rifarsi una vita” contro tutto e tutti, diventano trionfali e traboccano di felicità.
Come se fosse automatico che cambiare scenario, nazione, clima, ritmi di vita, facce e ordinamento giuridico, significasse salvarsi.
Quasi ci si trasferisse su Plutone o si diventasse immuni a fare cazzate, a mantenere lo stesso carattere della “vita precedente” e si ricevesse un diploma in virtù e coraggio.
Eppure su quotidiani e riviste abbondano articoli e servizi su nostri connazionali che “ce l’hanno fatta” all’incontrario, ovvero hanno scelto la vita in antitesi alla carriera, il relax rispetto allo stress, le palme sulla spiaggia al posto dei gerani sul balcone.
Il Kenya, ovviamente, è una delle mete più rappresentative. Innanzitutto è molto più facile scegliere di trasferirsi qui piuttosto che in Venezuela o in Myanmar, poi c’è di mezzo l’esotismo, l’Africa selvaggia, e sempre un pizzico di ambientalismo e di solidarietà che non guasta.
“Cambio vita in Kenya”…sono tutte storie meravigliose: “Pubblicitario milanese apre chiringuito in riva all’oceano”, “Sciampista vive tra i maasai facendo treccine con perline”, “Pensionato vedovo trova l’amore a ottomila chilometri dalla tangenziale” e così via.
Leggendo queste storie, scopri che è veramente possibile farsi una nuova vita in Africa!
Così nuova che non servono soldi (mi dovete spiegare come fa un sedicente lavoratore precario e disoccupato cronico a diventare proprietario di un favoloso bed&breakfast a Watamu), non c’è bisogno di alcun permesso di lavoro (una ragazza lombarda ammette candidamente di essere stata “assunta” da un beach boy come “front office desk” per la sua agenzia di safari), e non sono richieste esperienze di nessun genere, basta solo la passione (“faceva il cassiere al Lidl, ora salva gli ultimi esemplari di rinoceronte nero”).
Senza contare che in Kenya portiamo le nostre “eccellenze”, quindi è più facile diventare famosi ed essere idolatrati. “Nemo propheta in patria”, tutti ambasciatori del Made in Italy.
Ed ecco che diventa possibile abbinare alla propria “nuova vita” una bella professione di supporto dalla quale si è appena fuggiti, l’influencer!
D’altronde, in Kenya un direttore d’albergo, solo perché ha 200 tra camerieri, donne delle pulizie e giardinieri alle sue dipendenze, viene paragonato immediatamente a Briatore, l’ex capitano della squadra di calcio Scapoli & Ammogliati di Velletri è diventato alle porte della savana un allenatore ambito come Ancellotti, l’ex aspirante valletta di “Amici”, dopo quarantasei provini andati a male, può esibire sexy servizi fotografici completi accanto ai maasai sul bagnasciuga (tipico luogo d’origine dei maasai) e fare da testimonial per i business del fidanzato col nickname da ortaggio.
“Ho tagliato i ponti con l’Italia, non ne potevo più” racconta un quarantenne che si è reinventato pescatore a Diani. Poi scopri che nella sua “capanna” in un residence, non perde una puntata di “Un posto al sole” e lo senti lamentarsi per il costo delle scatolette di tonno Rio Mare d’importazione.
“Ho scelto di coltivare me stessa, fuggendo dalla logica dei soldi e del profitto” confessa una brunetta diventata immobiliarista a Kilifi, che ha più cause in corte che rimorsi.
Eh sì, leggendo questi articoli si capisce come la fuga dalla realtà sia anche prendere definitivamente le distanze dalla verità e come un paradiso da cartolina renda tutto più edulcorato ed artificiale. Così distante dal “cambiare vita” e così vicino alla moda ormai consolidata del mettersi in mostra per quello che non si è.
Perché ormai decenza e dignità, quasi nessuno saprebbe più in che destinazione trovarle.
E soprattutto, non fanno notizia.
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