Editoriali

EDITORIALE

Siccità in Kenya, come si riflette su tutti

Sicurezza, energia, cibo: le parole degli esperti

13-02-2023 di Freddie del Curatolo

Quando ci si approccia al Kenya, per i vari motivi che possono interessare ad un occidentale e di conseguenza ad un italiano (vacanza, affari, volontariato, cambio di vita, lavoro da dipendente) ci si preoccupa principalmente di ciò che ci riguarda personalmente: le prime preoccupazioni sono legate alla situazione della sanità, delle malattie e di eventuali assicurazioni o cure preventive da sostenere, alla sicurezza nazionale e minacce del terrorismo islamico.
Frequentando il paese, tornando più volte per piacere o per lavoro o stabilendosi definitivamente, si comprende come siano altre le problematiche che affliggono il Kenya e si riversano negativamente sulla vita della sua gente e di conseguenza su quella degli stranieri e che poi inevitabilmente vanno ad intaccare anche il benessere personale, quello di cui alle prime preoccupazioni.
E’ normale che chi viene in Kenya, pur informandosi e prendendone atto, non pensi alla siccità come il peggiore dei (suoi) mali. Dovrebbe invece considerare come da questo aspetto nascono e nasceranno miriadi di situazioni dannose per la società keniana.
Non sono solamente pensieri di chi vive quotidianamente, si informa e vi informa sull’evoluzione di questo paese, ma anche i pareri di esperti e organizzazioni.
Proprio ieri è stata pubblicata un’intervista all’Ambasciatore dell’Unione Europea a Nairobi, Henriette Geiger, la quale ha puntato il dito su quelli che secondo la UE sono i due problemi principali del Kenya: siccità e corruzione. La gravità delle conseguenze dei cambi climatici si sono viste, per adesso, soprattutto nelle regioni semidesertiche del nord. Fino allo scorso anno, secondo Geiger la siccità è stata “fondamentalmente nascosta e tenuta fuori dall'attenzione del pubblico per le elezioni, in modo da non rovesciare le sorti del paese. Inoltre, nell'area in cui c'è la siccità, ci sono pochi voti, quindi non c’era bisogno di sostegno alla popolazione locale. Ed è probabilmente per questo che non è stato fatto molto per loro durante le elezioni”.
Ora la situazione è drammatica e se non si farà qualcosa di serio, rischia di esserlo anche in altre parti del paese, compresa la costa, dove già si vedono segnali nella fascia dell’entroterra e nel parco nazionale dello Tsavo.
A nord, nelle regioni di Laikipia, Samburu e Turkana, la situazione invece è disperata. Migliaia di animali muoiono, ai lati delle strade se ne vedono le carcasse. Muoiono capi di bestiame, fondamentali, vitali per il sostentamento di migliaia di famiglie, ma muoiono anche elefanti, zebre ed altri esemplari che il Kenya è sempre stato fiero di ospitare e per i quali è frequentato da decine di migliaia di turisti ogni anno.
Ma la siccità non è solo quella visibile, dei bambini denutriti e delle madri che non riescono più ad allattare, degli anziani che muoiono di debolezza e degli svenimenti per stenti.
La siccità lascia senza lavoro e fa aumentare la criminalità, fa sì che crescano le battaglie tra i poveri che hanno sempre meno e vanno a cercarlo altrove, creando cruente faide che solo di facciata sono tribali, creano insofferenze che si traducono in rivolte. Lo scorso fine settimana, sulla strada che porta anche i turisti al Turkana, proprio vicino al quartier generale del Kenya Wildlife Service, trecento banditi (ex pastori) hanno assalito un convoglio scortato dalla polizia. Tre agenti sono morti ed altre persone sono state ferite.
Nelle scorse settimane il Ministero degli Interni e della Sicurezza Nazionale ha inviato un ulteriore contingente in quelle zone per aumentare la sicurezza, ma ancora non se ne vedono i frutti. Come spiegano molti osservatori geopolitici, le piccole e grandi guerre dell’Africa Orientale sono nate da queste insofferenze, dove piccoli movimenti hanno fatto leva sulla popolazione stremata, convincendola a lottare per le diseguaglianze sociali e l’indifferenza di poteri forti che continuano a sfruttare le risorse della terra (si pensi in Kenya al Turkana, pieno di petrolio) lasciando morire di fame, sete e mancanza di lavoro la sua gente.
Altro aspetto: con la siccità aumenterà il costo della corrente elettrica. La mancanza d’acqua nelle principali dighe del paese (Masinga e Kamburu) da cui dipende gran parte della produzione idroelettrica che serve tutto il Kenya, si rifletterà negativamente sulle bollette. Lo stesso Ministro per l'Energia e il Petrolio, Davis Chirchir, ha dichiarato ai giornalisti che se la siccità dovesse persistere, il governo potrebbe ricorrere all'uso del costoso diesel per generare energia.
Il problema è più che serio, in un paese già colpito dall’inflazione e con un debito pubblico in vertiginosa ascesa. Non serve la solita politica degli aiuti incondizionati, che sono (ai massimi sistemi) come quando i turisti portano le caramelle ai bambini dei villaggi di capanne. Le parole dell’Ambasciatrice UE a riguardo sono indicative, e seguono le parole del nostro esperto Angelo Ferrari, nell’intervista rilasciata a Malindikenya.net nei giorni scorsi (GUARDALA E ASCOLTALA QUI).
“Credo che in tanti anni di lavoro nei Paesi partner ci siamo resi conto che entrare dall'esterno e cercare di cambiare qualcosa non funziona, non ha funzionato e non funzionerà mai perché il cambiamento può venire solo dall'interno -  ha detto Henriette Geiger - Quindi, quello che possiamo fare è portare idee, stimolare le cose, sostenere alcune idee che emergono... Ma il lavoro deve essere fatto dal basso, altrimenti non c'è sostenibilità. Per noi, con i grandi progetti e programmi di sviluppo con cui siamo arrivati, quello che facciamo ora è sostenere le priorità dei Paesi. Quindi, prima ci sediamo, parliamo, ascoltiamo e poi vediamo qual è l'interesse comune e poi entriamo dove pensiamo di poter aggiungere valore. Questa è la nostra strategia attuale e nel settore delle ONG credo che anche l'ascolto e la collaborazione siano diventati la norma piuttosto che l'eccezione”.
La speranza, come sempre, arriva dalle comunità di donne che in Africa sono sempre “la forza che parte dal basso” nella catena operativa e di speranza. Le organizzazioni attive sul territorio che sviluppano progetti per ovviare ai cambiamenti climatici. Bisogna agire in fretta (seriamente nei prossimi 5 anni segnalano gli esperti) e la comunità internazionale, le Nazioni Unite e gli altri soggetti dovrebbero recarsi sul posto e donare direttamente ai progetti in corso, di chi vive in quelle aree e sa come agire immediatamente, invece di continuare a foraggiare istituzioni e governi che ingrassano in vista delle prossime elezioni in cui lasceranno volutamente le cose come stanno, regalando qualche altra caramella tossica.

TAGS: siccitàelettricitàsicurezzasemi aride

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