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04-08-2020 di Freddie del Curatolo
La pandemia in Kenya è condizionata dal “Fattore S”.
Chiamatelo in inglese (Sun) o in italiano (Sole) ma finché c’era lui con i suoi raggi ultravioletti, le sue vitamine e il suo tepore, i casi quotidiani in Kenya erano minimi, specialmente rispetto ad oggi e certe regioni completamente “Covid Free”.
Come spiegarsi che dal 25 marzo fino a tre giorni fa il Paese è stato completamente chiuso all’afflusso di turisti ed aperto ai soli cittadini e residenti che hanno dovuto comunque presentare certificato a tampone eseguito o svolgere la quarantena, eppure i casi interni si sono propagati, anche senza apparenti connessioni? Peraltro anche il calo di casi in Italia è stato spesso messo in relazione con l'arrivo dell'estate, così come i Paesi più colpiti del Continente Africano sono quelli agli estremi, in zone temperate, dove l'inverno è quasi come quello mediterraneo, ovvero Egitto e Sudafrica.
Il Ministero della Salute keniana, con il beneplacito dei dirigenti continentali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, con cui lavora a stretto contatto fin dall’inizio dell’emergenza, continuano a ripetere che il clima è fattore predominante.
Da due settimane è iniziata la stagione fredda, con una coda di piogge e forte vento su quasi tutto il Paese. Ecco che sono aumentati sia i positivi che i morti: da 1 o al massimo 3 al giorno prima delle grandi piogge, a 10-12 con puntate anche di una ventina in questo periodo.
“Le stagioni fredde come questa che è il nostro inverno – ha ribadito ieri il dottor Rashid Abdi Aman, segretario del Ministero - possono infettare facilmente i polmoni e peggiorare il rischio di infezioni. La tubercolosi ad esempio è in aumento in questa stagione. Durante questo periodo, il Kenya ha assistito all'aumento di tubercolosi e polmoniti in quanto sono malattie trasmesse per via aerea".
“Fattore S”, di cui si sente enormemente bisogno. Con il freddo, inoltre, le case povere dei keniani sviluppano un’altra insidia che può favorire l’insorgere di sindromi respiratorie, l’accendere fuochi o carbone all’interno di capanne e baracche che crea fumo. Abdi Aman ha esortato i keniani a coprirsi bene e bere bevande calde ma a non utilizzare riscaldamento rudimentale.
Ieri, lunedì 3 agosto, il Kenya ha registrato 544 nuovi casi di Coronavirus su 2.653 campioni testati nelle 24 ore precedenti, e si tratta della più alta percentuale di persone positive per tampone mai registrato, il 20% circa. Il totale dei casi di Covid-19 nel Paese è salito a 22.597 su 318.376 campioni testati da marzo 2020. E’ sempre Nairobi a rappresentare l’epicentro della pandemia. Ieri solo 100 dei casi segnalati non arrivano dalla capitale o dalle sue immediate vicinanze. Sulla costa sono 11 i testati positivi: 9 a Mombasa, uno nella contea di Kwale e uno in quella di Kilifi (non a Malindi e Watamu).
Da registrare 13 decessi che portano il totale dei pazienti che non ce l’hanno fatta anche a causa del Covid-19 a 382. Di questi, 10 avevano patologie pregresse e gli altri appunto sono vittime di TBC o polmonite, che erano anche positivi al virus. Allo stesso tempo sono stati dichiarati guariti e dimessi 263 pazienti. Sono ora 8740 in Kenya i contagiati che hanno vinto l’infezione.
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