Il Canto del Kenya di oggi, martedì 22 dicembre, è un canto d’amore.
Ma non è l’amore per l’Africa sognata e idealizzata di cui spesso parliamo, né un’amore improvviso, istantaneo e magari effimero.
E’ l’amore che non ti aspetti, quello programmato e atteso da una vita da un uomo povero ma dignitoso dell’entroterra di Kilifi.
Nel villaggio di Ganze il giovane falegname Kahindi assembla e ripara vecchie porte, letti e casse d’ogni forgia.
E’ un lavoro svolto per i propri simili, per la sua gente e non permette né grandi guadagni, né voli pindarici.
Si dice che sognare non costa nulla, ma anche a Ganze non è più vero.
I giovani sognano la motocicletta e minacciano i nonni per farsela comprare.
Talvolta arrivano ad ucciderli accusandoli di essere stregoni.
Le ragazze sognano lo smartphone e finiscono a prostituirsi per comprare gli assorbenti, quando nella peggiore delle ipotesi (o nelle belle case dei Parioli, senza il condizionale) dovrebbe essere il contrario.
I sogni di Kahindi invece appartengono ad altri tempi e per questo costano solo fatica, giorni di lavoro e la speranza che la donna che ama capisca.
Sono sogni che diventano realtà, perché non chiedono la luna, né un pavimento di piastrelle. Non pretendono la corrente elettrica ma un piccolo pannello solare che alimenti una lampadina.
Sogni che prendono forma lentamente, e hanno le sembianze di una capanna di fango col tetto di makuti ma...con una dedica speciale.
L’abbiamo vista, quella capanna. Venire su mese dopo mese con una sola persona a costruirla.
Di sera dopo il lavoro, di domenica, nei giorni di festa in cui gli amici si intrattenevano sotto un baobab o nella radura del villaggio a bere mnazi e raccontarsela.
Niente vino di palma, niente scommesse da 50 scellini sul calcio inglese. Solo una capanna con una finestra a forma di cuore.
Vorrei dire all’innamorata di Kahindi che, specie di questi tempi, sposerà un uomo speciale.
E che ci farebbe piacere presenziare al loro matrimonio.